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Tutte le forme sono ottimizzate?
A pensarci bene, ogni volta che si progetta un determinato oggetto, questo viene plasmato in modo che possa svolgere al meglio il compito per il quale è stato ideato. Ad esempio, un ombrello aperto presenta un manico affusolato, comodo da sostenere con una sola mano, ed una superficie concava utile a riparare il nostro corpo dalla pioggia. Quando lo chiudiamo, invece, il manico curvo facilita l’appoggio sul braccio ed inoltre il suo ingombro minimo ne agevola il trasporto. Pertanto, nelle sue due configurazioni (aperto e chiuso) l’ombrello svolge in modo “ottimale” le proprie mansioni.
L’ombrello ci ripara bene dall’acqua; ma quando smette di piovere deve essere chiuso, altrimenti sarebbe scomodo da trasportare.
Nelle costruzioni, l’ottimizzazione della forma ha finalità prevalentemente meccaniche: gli elementi strutturali vengono realizzati in modo che, a parità di materiale impiegato, possano sopportare la maggior quantità di peso possibile. La “funzione” di una struttura, infatti, è proprio quella di sostenere i carichi derivanti dall’edificio e da ciò che è al suo interno, e di trasmetterli al terreno sottostante; un’ottimizzazione geometrica della struttura, dunque, consente di migliorarne le prestazioni meccaniche, ossia di renderla più “resistente”.
In Architettura, le strutture la cui forma è maggiormente ottimizzata dal punto di vista meccanico sono quelle dotate di “curvatura”, ossia sviluppate nello spazio secondo una conformazione non piana. La curvatura può essere di tipo “locale”, quando interessa una zona limitata della struttura pur potendo essere ripetuta, come accade per le lamiere ondulate; oppure può essere di tipo “globale”, cioè unica ed estesa per tutta la superficie, come nelle volte o nelle cupole. Una struttura dotata di entrambe queste tipologie di curvatura, si dimostra essere estremamente resistente.
Due superfici dotate di curvatura “locale” e “globale”.